Sentenza n. 179 del 29 maggio 2009 Corte Suprema di Cassazione
Su ricorso proposto da xxxxx avverso la sentenza della Corte d’ appello di Milano 23 maggio 2005, n, 2506,
Sentita la requisitoria del Procuratore Generale, in persona del dr. Francesco Mauro Iacovello, il quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
osserva
IN FATTO E DIRITTO
Con sentenza del 22 giugno 2004 il Tribunale di Lecco dichiarava xxxxx colpevole a) del reato previsto dagli artt. 56 e 629 c.p,e e) del reato previsto dall’art. 572 c.p., commessi in Colico tra maggio e settembre 2002, e lo condannava alla pena di un anno e otto mesi di reclusione ed euro 300,00 di multa per il capo a) e di un anno di reclusione per il capo e) dell’imputazione. Lo proscioglieva dai reati contestati ai capi b), c) e d) perché estinti per prescrizione.
Avverso la sentenza proponeva appello il difensore dell’imputato, chiedendone l’assoluzione, per il reato di cui al capo a),quanto meno perché non punibile ex art.649 c.p.; e, in subordine, chiedeva la riduzione della pena,con il riconoscimento delle attenuanti generiche e della continuazione.
Con sentenza del 23 maggio 2005 n. 2506 la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, assolveva l’imputato ai sensi dell’art. 530 c.2 c.p dal reato di cui al capo a), confermando nel resto.
Avverso la sentenza di appello xxxxx ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:
1. carenza o manifesta illogicità della motivazione (art. 606 lett. e) c.p.p. perché la ritrattazione della parte offesa, ritenuta credibile in ordine al tentativo di estorsione, non lo è stata riguardo ai maltrattamenti, riguardo ai quali la stessa ha riferito la sussistenza di contrasti fra coniugi, culminati in qualche litigio, escludendo la sussistenza di una condotta abituale dell’imputato, consistente in volute vessazioni fisiche e psichiche, che potessero integrare gli estremi del reato di maltrattamenti;
2. carenza di motivazione (art. 606 lett. e) c.p.p. in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, benché si fosse dedotto che i coniugi erano portatori di cultura, religione e valori differenti da quelli italiani, ali da influire sotto il profilo sia della gravià del reato che dell’entità della pena e, quindi, sulla sussistenza delle attenuanti generiche.
L’impugnazione è ammissibile
Nella sentenza impugnata si è correttamente ritenuta l’inattendibilità della ritrattazione, benché riconosciuta come ispirata da esplicite motivazioni umane, operata in dibattimento, sia pure sotto forma del riconoscimento di proprie colpe, della parte offesa, la quale, tuttavia, ha finito per confermare le ingiurie reiterate, le percosse e gli atteggiamenti violenti, culminati nello scacciare di casa il coniuge o nel produrgli ferite con coltello, maltrattamenti protattasi per mesi e reiterati innumerevoli volte che hanno trovato riscontro nei referti delle lesioni e nelle testimonianze di osservatori disinteressati.
Sia la prima che la seconda sentenza hanno affrontato e disatteso emotivamente l’eccezione fondata sulla diversità delle tradizioni etico-sociali dei coniugi.
Al riguardo dev’essere riaffermato il principio, sancito nell’art. 3 c.p., dell’obbligatorietà della legge penale, per cui tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato sono tenuti ad osservarla.
La rilevanza della disciplina e le ragioni di carattere generale su cui si fonda escludono che possa eservi apportata qualsiasi deroga non espressamente prevista dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale e implicano che le tradizioni etico-sociali di cloro che sono presenti nel territorio dello Stato, di natura essenzialmente consuetudinaria benché nel complesso di indiscusso valore culturale, possano essere praticate solo fuori dall’ambito di operatività della norma penale.
Il principio assume particolare valore morale e sociale allorchè – come nella specie – la tutela penale riguardi materie di rilevanza costituzionale, come la famiglia, che la legge fondamentale dello Stato riconosce quale società naturale, ordinata sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi (art. 29 Cost.), uguaglianza che costituisce pertanto un valore garantito, in quanto inserito in un ordinamento incentrato sulla digità della persona umana e sul rispetto e la garanzia dei diritti insopprimibili a lei spettanti.
Il vizio di motivazione dedotto col primo motivo appare perciò manifestamente infondato.
Altrettanto deve dirsi del medesimo vizio, dedotto col secondo motivo di ricorso.
Anche sul punto la motivazione, nella sua sinteticità, è puntuale e coerente, in quanto si fonda – oltre che sul rilievo negativo della mancanza di elementi valutabili, peraltro non dedotti nei motivi d’appello, qual non sono per le ragioni anzidette quelli relativi alla tradizioni che regolano i rapporti familiari in società culturalmente diverse, neppure sotto il profilo dell’attuazione del disvalore della condotta antigiuridica – sui pessimi precedenti penali dell’imputato, già rilevati al riguardo nella prima sentenza.
Pertanto il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile.
Segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di euro 1.000,00 alla Cassa ammende.
P.Q.M.
La Corte
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al al pagamento delle spese processuali e al versamento di euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle ammende. al pagamento delle spese processuali e al versamento di euro 1.000,00 alla Cassa ammende.
Così deciso in Roma il 28 gennaio 2009
Depositato in Cancelleria
Il 29 maggio 2009