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Quarto di Santa Chiara - Palena (Chieti)

Palena Quarto Santa Chiara dal monte Porrara

Nella provincia di Chieti, al confine con quella di L’Aquila, all’estrema punta Sud del massiccio della Majella, il Fondo edifici di culto è proprietario di una vasta area boschiva che declina dalle ripide pendici del monte Porrara al sottostante altopiano che, attraversato dal torrente La Vera, rappresenta lo scenario per un suggestivo fenomeno carsico (mappa). Il torrente, infatti, forma numerosi meandri prima di scomparire in un inghiottitoio ai piedi del monte Porrara, per ricomparire poi a diversi chilometri di distanza, nei pressi di Palena, in località Capo di fiume, ove la fuoriuscita improvvisa delle acque dà vita al fiume Aventino. Soprattutto in primavera, il contributo idrico del disgelo non permette il completo svuotamento dell’inghiottitoio, determinando nell’altopiano la formazione di un lago effimero. Il tardo periodo primaverile è anche il momento della spettacolare fioritura sia delle piccole valli che caratterizzano il percorso di ascesa al monte Porrara, sia l’ambiente umido dell’inferiore altopiano. Qui la flora è tipica degli ambienti umidi e gli acquitrini stagionali favoriscono la sosta di volatili migratori, fra i quali anche il germano reale e la gru. Nel torrente è da notare la presenza del gambero di fiume, mentre dai monti circostanti calano a volte cervi, caprioli, orsi e cinghiali. Non di rado si possono avvistare diverse specie di rapaci. Dal punto di vista delle attività umane, al bosco ceduo montano di faggio e di cerro si alterna, in basso, il prato concesso al pascolo degli ovini dopo lo sfalcio dell’erba. Il Quarto di Santa Chiara costituisce in tal modo una riserva naturale orientata, nella quale cioè colture silvo pastorali sono ammesse purché non in contrasto con la conservazione dell’ambiente naturale.

Nel Medioevo questo territorio era parte del feudo di Forca Palena. Alla morte del feudatario, Tommaso Cantelmo, il primogenito di costui, Simone, costituì con una porzione del feudo la dote per la sorella Floresenda. Quest’ultima la donò nel 1268 al monastero delle Clarisse di Sulmona, in occasione del suo ingresso nella casa religiosa che ella stessa aveva fondato, probabilmente otto anni prima. Così la metà del feudo, menzionata da allora come Quarto Santa Chiara, fu materialmente divisa dal resto, spettante ai fratelli della religiosa, Simone e Oderisio, con atto notarile del 22 giugno 1306. Tuttavia, il vicino Comune di Palena, che aveva assorbito a metà del XV secolo il territorio dell’estinta comunità di Forca, rivendicò più volte i suoi diritti di proprietà sulla porzione pervenuta al monastero delle Clarisse, nonché i diritti di uso civico, relativamente al far legna e al pascolo in determinati periodi dell’anno. Dopo il primo decennio dell’Ottocento, a tali rivendicazioni si associò anche il Comune di Pescocostanzo, in una controversia che riprese vigore nel 1864, dopo che il monastero di Sulmona era passato alla Cassa ecclesiastica nel 1862, per la soppressione degli enti ecclesiastici. L’esistenza del contenzioso giudiziario impedì che il Quarto fosse devoluto al Demanio per la vendita, come era invece normalmente previsto per gli altri beni immobili espropriati ai monasteri e ai conventi soppressi. Il compendio territoriale rimase dunque alla Cassa ecclesiastica, da cui poi fu ereditato dal Fondo per il culto, il quale, insieme ai due menzionati Comuni, rimase coinvolto in una lunga contesa giudiziaria che ebbe termine soltanto con la transazione del 12 febbraio 1923: il Fondo ricevette la metà del Quarto, mentre l’altra metà fu divisa tra i due Comuni (11/18 a Palena, 7/18 a Pescocostanzo). Alla concreta divisione si giunse infine con l’ordinanza del commissario regionale per la liquidazione degli usi civici del 26 marzo 1931. La quota assegnata al Fondo per il culto ammontava complessivamente a circa ettari 490 ettari fra boschi, pascoli, prati, comprendenti anche fabbricati. Oggi la proprietà appartiene al Fondo edifici di culto, in quanto erede del precedente Fondo. La gestione, come per la Foresta di Tarvisio, è affidata al Comando unità forestali dell’Arma dei Carabinieri e, nello specifico, al Reparto Carabinieri Biodiversità di Castel di Sangro.

 

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